Beni di terzi: corretta contabilizzazione per la Cassazione

La recente Ordinanza n. 11509 del 2 maggio 2025 della Cassazione permette di effettuare alcune considerazioni sulla corretta contabilizzazione delle spese di ristrutturazione sostenute da una società su immobili non di proprietà.

Beni di terzi: corretta contabilizzazione spese

Nel caso di specie, l'Agenzia delle Entrate accertava un maggior reddito di impresa in capo ad una società Sas, ai sensi dell'art. 30dellalegge n. 724 del 1994; in particolare l'ufficio contestava alla società di aver irregolarmente contabilizzato tra le immobilizzazioni materiali nel conto immobili le spese di ristrutturazione sostenute su un edificio di proprietà di terzo (e in particolare del socio B.B. che lo aveva concesso in comodato alla società), mentre tali oneri avrebbero dovuto essere contabilizzati tra le immobilizzazioni immateriali; ciò aveva determinato una irregolarità:

  • sia nel calcolo del test di operatività 
  • sia nella redazione dello studio di settore, la cui congruità era posta a fondamento della esclusione dalla disciplina predetta.

La CTP accoglieva i ricorsi proposti da società e soci e la Commissione tributaria regionale rigettava l'appello erariale ritenendo che la società fosse congrua e coerente ai fini degli studi di settore, per cui era da ritenersi sussistente l'esclusione prevista dall'art. 30, comma 2, lett. 6-sexies, dellalegge n. 724 del 1994.

La ctr evidenziava che la qualificazione della spesa per immobili come operata dal contribuente era corretta, dovendosi fare riferimento alla natura sostanziale del bene e non al titolo di disponibilità del medesimo.

Inoltre evidenziava che l'assimilazione della predetta spesa all'investimento su immobili di proprietà risultava rafforzata dalla durata del contratto di comodato, che era a tempo indeterminato, il che faceva optare per la considerazione dell'effettiva operatività della società perché rendeva evidente che la logica economica dell'operazione era costituire una società con il fine di ristrutturare l'immobile e metterlo a frutto, destinandolo ad attività ricettiva mediante affitto di ramo d'azienda.

Contro tale decisione l'agenzia proponeva ricorso per Cassazione con un primo e unico motivo, proposto ai sensi dell'articolo 360, primo comma, n. 3 c.p.c..

La difesa erariale deduce la violazione e/o falsa applicazione  dell'art. 30, comma 1, lett. c) n. 6-sexies, dellalegge n. 724 del 1994, dell'art. 62delD.L. n. 331 del 1993, dell'art. 5t.u.i.r., nonché dei principi contabili nazionali di cui ai nn. 16 e 24 quali usi normativi richiamati dall'art. 2219 c.c. e dalla legislazione fiscale (art. 22D.P.R. n. 600 del 1973), del decreto MEF del 20 marzo 2007 e susseguente provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate del 27 marzo 2007.

La Cassazione con la recente Ordinanza n. 11509 del 2 maggio 2025 statuitsce che nel merito il ricorso erariale è fondato.

La disciplina delineata dall'art. 30 della L. 724 del 1994 mira a disincentivare la costituzione di società "di comodo", ovvero il ricorso all'utilizzo dello schema societario per il raggiungimento di scopi eterogenei rispetto alla normale dinamica degli enti collettivi commerciali, come quello, proprio delle società c.d. di mero godimento, dell'amministrazione dei patrimoni personali dei soci con risparmio  fiscale.

Il disfavore dell'ordinamento per tale incoerente impiego del modulo societario, ricavabile, oltre che dalla disciplina fiscale antielusiva, dal più generale divieto, desumibile dall'art. 2248c.c., di regolare la comunione dei diritti reali con le norme in materia societaria, trova spiegazione nella distonia tra l'interesse che la società di mero godimento è diretta a soddisfare e lo scopo produttivo al quale il contratto di società è preordinato.

La finalità di deterrenza è perseguita attraverso la fissazione di standard minimi di ricavi e proventi, correlati al valore di determinati beni aziendali, il cui mancato raggiungimento costituisce indice sintomatico del carattere non operativo della società  (Cass. 24/02/2020, n. 4850).

La presunzione legale di inoperatività si fonda sulla massima di esperienza per la quale non vi è, di norma, effettività di impresa senza una continuità minima nei ricavi ed ha carattere relativo. 

In particolare, secondo il primo comma  dell'art. 30 della L. n. 724 del 1994, una società si considera non operativa se la somma di ricavi, incrementi di rimanenze  e altri proventi (esclusi quelli straordinari) imputati nel conto economico è inferiore a un ricavo presunto, calcolato, attraverso il c.d. test di operatività, applicando  determinati coefficienti percentuali al valore degli asset patrimoniali intestati alla società.

Tale presunzione può, tuttavia, essere vinta mediante la dimostrazione, il cui onere  grava sul contribuente, di situazioni oggettive ossia non dipendenti da una scelta consapevole dell'imprenditore che abbiano reso impossibile raggiungere il volume minimo di ricavi o di reddito determinato secondo i predetti parametri.

Infine, per quanto nella causa specificamente rileva, la disciplina non si applica nel caso previsto dall'art. 30, comma 1, lett. c) n. 6 sexies, della legge n. 724 del 1994, e cioè alle società che risultino congrue e coerenti ai fini degli studi di settore.

La Corte ha chiarito che le spese incrementative di beni non di proprietà dell'impresa, che li utilizza in virtù di un contratto di locazione o di comodato, debbano essere iscritte tra le immobilizzazioni materiali solo ove al termine del periodo di locazione  o di comodato possano essere rimosse dall'utilizzatore ed avere un impiego a prescindere  dal bene a cui accedono; viceversa, qualora si tratti di opere non separabili dal bene altrui, devono essere iscritte tra le immobilizzazioni immateriali.

Si tratta di un principio logico che trova conferma nel principio contabile OIC 24, appendice A.22, il quale prevede che i costi sostenuti per migliorie e spese incrementative su beni non dell'impresa (anche in leasing) sono capitalizzabili ed iscrivibili tra le "altre" immobilizzazioni immateriali se le migliorie e le spese incrementative non sono separabili dai beni stessi (ossia non possono avere una loro autonoma funzionalità); altrimenti sono iscrivibili tra le "immobilizzazioni materiali" nella specifica voce  di appartenenza.

Secondo la Cassazione la CTR ha sbagliato nel ritenere che la dichiarazione di dette spese tra le immobilizzazioni materiali, ai fini dello studio di settore, fosse corretta, espressamente negando rilevanza al dato che l'immobile fosse di terzi e in ragione della mera durata del comodato, dando quindi rilievo ad elementi irrilevanti per una corretta contabilizzazione.

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